LEXUS CT200 HYBRID

ELETTRICITÀ, ENERGIA PRIMORDIALE

L’ho sempre ammirata. Mi è sempre piaciuta per le sue linee in un panorama di ovvietà del parco circolante. Un bel po’ di coraggio, soprattutto, per il taglio del padiglione posteriore. Non convenzionale.

di Luca Romano.
Riunisce, la Lexus CT200 Hybrid la classica eleganza dei super-modelli jap ad uno stile eccentrico che sottolinea il distacco di chi la possiede dal resto del mondo. Adesso la guido e la fotografo. Della guida è troppo presto per dire qualcosa oltre al fatto che la funzione combinata dei motori elettrico e termico mi piace sempre.
Delle foto qualcosa di più: quest’auto è terribilmente fotogenica. Sarà anche merito del colore (acciaio scuro, una portaerei della WW2) sarà merito del set scelto e dell’orario, ma c’è qualcosa di primordiale (Toyota antesignana delle vetture ibride, il titolo è d’obbligo) in questa automobile, in queste fotografie. Vedeteci, guardateci quello che vi pare, ma la CT200 Hybrid è tanto fotogenica.

Galleria fotografica, 4 scatti

(Segue, test e set fotografico)

Credit –

Tutte le fotografie e le clip ©lucaromanopix – Vietata la riproduzione e la diffusione su e con qualsiasi mezzo e/o social network senza il consenso scritto dell’autore. Le fotografie sono file con firma digitale. Le fotografie sono protette secondo le norme vigenti in Italia del diritto d’autore.

 

LAND ROVER DISCOVERY SPORT

 

LAND ROVER DISCOVERY SPORT ©lucaromanopix
LAND ROVER DISCOVERY SPORT ©lucaromanopix

HO PRESO UNA CATTIVA STRADA

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Tutte le fotografie ©lucaromanopix, vietata la riproduzione e la diffusione senza il consenso scritto dell’autore, che oggi (28/7/15) non è in vena di concessioni.
 
La guardo e penso.
Penso alla Defender. Mi chiedo: ma questa è capace?
La guardo e penso.
Non mi riferisco solo alla vettura della quale stringo il volante e premo il freno, in un attimo di perplessità mentre aspetto che due signori liberino la mulattiera per lasciarmi arrampicare.
Mi riferisco a lei, la mulattiera.
Alla pendenza di quella strada. Allo sconnesso che farebbe cedere le armi a molte “presunte” SUV di questi tempi. Che affollano solo l’asfalto e che non trovi certo su questa strada. E penso a chi ha costruito, intorno all’anno 1000, il castello di Rocca Calascio. A chi spronando asini e muli ha portato fin quassù tutti i materiali per costruire questa magnifica roccaforte.
Ed ora penso alla Discovery Sport color bordeaux che deve affrontare anche lei quella salita. Senza riportare graffi sulla carrozzeria, senza rompere una sospensione o peggio qualche parte del motore o della trazione. Anche perché al di là della figuraccia infinita devo arrivare fino in cima, fare quello che voglio e, soprattutto, questa notte tornare indietro.
La fortuna aiuta gli audaci e “gli irresponsabili”, sono determinato ad arrivare fin sotto la roccaforte. Ma quell’impervio sentiero di montagna mi preoccupa.
“Feroci” sassi attendono il telaio della Discovery. Già intravedo a poche decine di metri davanti al bel muso della Discovery il primo passaggio difficile. E sarà solo il primo dei tanti. Non so quanti metri o chilometri, uno forse due chilometri di una brutta mulattiera prima di arrivare in cima. Ma quello che vedo è scoraggiante. Grossi massi ben piantati nel terreno. Grossi davvero. Ed anche profondi solchi da percorrere prima di affrontare il masso. Insomma una “strada” killer. Penso a quando il 5 marzo volevo salire “quassù” con un’altra Land Rover. La Discovery Classic, quella con il V6 e gomme per la neve. Ed a marzo ho dovuto desistere ben prima di arrivare qui. Ho dovuto desistere dopo neanche 100 metri dall’asfalto, quindi almeno cinque chilometri prima di questo punto. Anche fossi arrivato qui con la Classic non sarei andato oltre.
Ho fatto tante esperienze in fuoristrada, mai una gara o il percorso di un raduno. Dove però si è in tanti e c’è l’assistenza. E nei test drive organizzati seppure i passaggi siano complessi è nulla in confronto a quello che vedo.
I due tizi si sono fatti da parte. O innesto la retromarcia e rinuncio oppure metto il selettore del cambio in “d” e vado avanti. Vado avanti. La pressione sull’acceleratore è pressoché inesistente. La grande coppia di questo motore fa il suo dovere. In salita sarà lei che mi aiuterà nel raggiungere l’obiettivo. Il primo scoglio è sotto il paraurti anteriore. Seleziono il programma di marcia più adatto scegliendo tra le iconcine della plancia. Trovo quello giusto e spingo il destro. Sento la anteriore destra arrampicarsi sul masso mentre la sinistra pattina. La coppia passa dietro e con delicatezza la Discovery supera il primo ostacolo. Gli altri, alcuni più impegnativi, altri meno, lei, la Discovery, li supera con la stessa agilità. Sono preoccupato solo dalla luce a terra. Certi solchi sono davvero profondi ed il cicalino di avviso “oggetti circostanti” suona in continuazione. Mi sta facendo innervosire, fa un casino infernale. Ed ho timore che sovrasti il seppur minimo contatto sbagliato. Sono all’antica: guido con i MIEI sensi. Non ho bisogno di sensori. Ma non è questo il momento per cercare come fare a disinserirlo. E’ vero che il Sole tramonta alle otto-e-trentacinque ed il moonrise è alle ventidue-e-zero-nove. Ma non voglio perdere tempo. L’ultimo grosso ostacolo è alle spalle, il pianoro si apre alla vista. Un panorama meraviglioso. E la magnificenza, l’imponenza, della roccaforte. Impareggiabile. Valeva la pena di arrivare qui. Parcheggio a quota 1.421. Secondo l’altimetro.
 
Avevo previsto tutto: orario di moonrise, coordinate di riferimento, corpi macchina, obiettivi, lampade e “catering”. I generi di conforto in queste occasioni non me li faccio mai mancare. Solo ad una cosa non avevo pensato: le zanzare. Terribili e cattive, come la mulattiera.
Che ora devo affrontare in discesa. Al buio.
Lascio il set dopo la ventitré-e-cinquantanove del quattro giugno.
Curva secca a sinistra mentre mi chiedo se per caso, al buio, senza riferimenti, io abbia preso la strada sbagliata. No. E’ quella giusta. La riconosco. E’ quella cattiva, di notte alla luce dei fari della Discovery Sport, ancora più cattiva.
Ma lei, la Discovery Sport, ama il twist. Sei, sette passaggi di twist e sono sullo sterrato “facile”, pianeggiante e senza buche, quello dove arrivano pure i “finti SUV”. Di lì, tutta in discesa.
Certo non tutti amano il twist di notte e con il precipizio dalla loro parte.
Ma la Discovery ha belle maniglie alle quali aggrapparsi durante le oscillazioni più ampie.
Vero?
(lr)

Gallerie fotografiche

Galleria fotografica “3”

Galleria fotografica “5”


 
GOLDENHOUR ©lucaromanopix
GOLDENHOUR ©lucaromanopix

 
 
 

DELLA STESSA SERIE, LANDROVER FILM ASTRONOMIA

 

 

 

 
 
 
 
 

Credit

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Once Ansel Adams said: “The single most important component of a camera is the twelve inches behind it”.